Recensione Metallo Italiano 6/02/2015

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Tornano i salernitani Aura con il loro nuovo album “Noise”, il terzo della loro carriera. Rispetto alle precedenti produzioni nelle quali non avevano ancora trovato una direzione musicale, con “Noise” la band sembra aver centrato l’obiettivo definendo il proprio universo sonoro. Abbandonate le incertezze del prog metal del debutto “A different View From The Same Side”, fin troppo debitore ai primi Dream Theater e con l’urgenza di dover esibire le proprie doti tecniche, già il secondo lavoro “Deliverance” aveva mostrato un cambio di rotta verso sonorità più rock sulla scia del neo-progressive britannico (Marillion ed i loro epigoni per intenderci), e dei classici Yes e Genesis.
Il nuovo corso degli Aura fa un ulteriore passo in avanti, consegnadoci un suono più intimista, raffinato ed a tratti malinconico, richiamando le sonorità dei Porcupine Tree ma privandole dei loro accenti psichedelici così come quelle degli ultimi Opeth, la cui svolta prog è legata a doppio filo con la band di Steven Wilson, fino sfiorare l’anima oscura dei polacchi Riverside.
Le composizioni assumono ora la forma più classica di canzone, più sostanza e meno concessioni a lunghe fughe strumentali con l’intento di mettere la tecnica individuale al servizio della musica, evidente sia negli arrangiamenti curati che nelle partiture soliste, sempre organiche al brano. Le sonorità abbandonano le ruvidità heavy delle precedenti release, con una produzione più raffinata, curata sia a livello di suoni che di missaggio.
Un’evoluzione che giova anche alla voce del batterista Giovanni Trotta, a proprio agio sulle tonalità medio-basse che contraddistinguono le linee vocali di “Noise”, guadagnando in espressività e coinvolgimento emotivo. Così le melodie appaiono più fluibili e lineari, soprattutto nei chorus, anche se una certa assonanza con i già citati Porcupine Tree appare quasi inevitabile, probabilmente per un ricorso eccessivo ad armonizzazioni ed effetti vocali dallo stile “telephone vocals”, tipiche della produzione di Steven Wilson.

Altro punto di forza di quest’album è la scaletta dei brani: priva di filler e dalla durata che non eccede mai i sei minuti, scorre piacevolmente e non si fa fatica ad ascoltare più volte consecutive l’album la cui apertura è affidata ad “No Hatred”. Già dalle prime note del brano si rimane piacevolmente colpiti dalla nuova dimensione degli Aura con un riffing tipicamente prog ma che non si compiace della sua complessità così come il pattern ritmico, più lineare rispetto al passato, sulla quale si sviluppa una linea vocale raffinata ed al contempo semplice. Lo stesso break strumentale non indugia nei virtuosismi con la chitarra di Giuseppe Bruno che da vita a un assolo tecnico ma che rimane sempre funzionale al brano, anche se in alcuni passaggi riecheggia lo stile di Petrucci.
Riferimento che ritorna anche tra le note della successiva “From Dust to Life”, vicino all’ultima produzione dei Theater (soprattutto nel refrain), dove le tastiere di Francesco Di Verniere trovano maggiore spazio pur evitando lunghe fughe soliste autocelebrative. Sonorità tipicamente prog metal caratterizzano il singolo “Behind My Eyes”, tra tempi dispari e vocals che richiamano le clean vocals degli Opeth; impronta che troviamo anche nelle suggestive armonizzazioni vocali della splendida “Under Black Skies”, tra riff acustici e la magniloquenza del chorus che chiama in causa i Queensryche.
Con “A Silence in a Word” ascoltiamo un prog rock di altissima scuola: sonorità acustiche, liquide, dalla venature orientali nelle prime battute per un brano intimista, ricco di pathos e con un refrain sognante davvero ben riuscito dove le armonizzazioni vocali per gusto e fattezza richiamano i grandi Shadow Gallery.
“On the River of Time” è un ritorno al prog metal degli esordi ma questa volta i nostri dimostrano maggiore personalità, componendo il brano migliore dell’album, davvero inattaccabile sia dal punto strumentale che nelle melodie con un bellissimo refrain.
Conclude “The Distant World”, giocata sul contrasto tra parti acustiche ed elettriche, con una struttura ritmica in crescendo ed un uso, forse eccessivo, dell’effetto “telephone vocals” nel cantato. Il brano è piacevole, ben riuscito nell’arrangiameno ma alla fine il confronto con le soluzioni armoniche utilizzate degli Opeth rimane inevitabile.

Forse è questo il solo limite di “Noise”. Se da un parte la svolta degli Aura ti sorprende, spiazzandoti piacevolmente e denotando un netto salto qualitativo in termini compositivi, dall’altra si ha la sensazione che l’aver abbracciato i nuovi canoni stilistici abbia indotto i nostri ad indugiare troppo in determinati schemi musicali. Ma questo è solo una piccola pecca alla luce di un album di assoluto valore, il migliore della loro carriera, che potrebbe consacrarli tra i maggiori esponenti della scena Prog italiana. – See more at: http://www.metalloitaliano.it/articoli/recensione.php?id=2464#sthash.4LvbMFQ9.dpuf